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Una ricerca sul lavoro buono: 25 storie di buone pratiche nel territorio della diocesi di Noto

Venticinque interviste, undici giovani intervistatori, tante storie di ‘Lavoro buono’. Grazie alla collaborazione tra la Caritas diocesana di Noto, il progetto Policoro della diocesi netina e la Libera Università dell’Educare di Messina, con il sostegno della Fondazione di Comunità Val di Noto, è stata pubblicata la ricerca dal titolo “#Cercatori di Lavoro. Alla ricerca delle buone pratiche italiane”. In sintonia con il lavoro svolto in ambito nazionale, e presentato in occasione delle Settimane sociali dei cattolici italiani a Cagliari, Progetto Policoro e Caritas di Noto hanno voluto investire in questo progetto con un chiaro intento: “Aiutare i giovani a sperare, non soltanto denunciando tanti problemi che riguardano il lavoro (cosa giusta e necessaria), ma anche aiutando a scoprire gli ‘snodi’ che permettono un lavoro buono, un lavoro degno, un lavoro solidale e creativo. Cercando di scoprire questi passaggi attraverso testimoni silenziosi, attraverso storie di vita, attraverso quel benessere discreto ma efficace che fa da bilancia a tanta prepotenza e indifferenza”.

Questa tensione/intenzione è diventata una ricerca-azione da parte di un gruppo di lavoro formato da giovani impegnati in vari servizi della Caritas che hanno condotto 25 interviste ‘in profondità’ aiutati dalla Libera Università dell’Educare. Cosa emerge da questo piccolo, ma significativo gruppo di storie? “La costruzione di un progetto professionale di successo – si legge nella relazione – non sembra mai essere lineare, ma piuttosto è caratterizzata da punti di snodo a cui l’intervistato dà un significato preciso di cambiamento, come ad esempio la perdita improvvisa di una precedente occupazione, l’insorgere di una malattia… Queste persone percepiscono chiaramente di avere delle responsabilità verso se stessi, ma anche verso coloro che sono vicini (familiari, lavoratori dipendenti)…Si può scegliere se sprofondare ancora o riemergere. Queste persone hanno scelto tutte di risalire la china mettendo in campo le loro capacità e ciò in cui più credevano”. Una storia su tutte, quella di Anna, in sedia a rotelle dopo un incidente in moto: dal 2009 ha aperto un ristorante con il fratello a Rosolini. Lavoro come riscatto. Sola a Modica, il marito l’ha lasciata, e una donna decide di scommettere su se stessa e sulle proprie capacità. E grazie all’aiuto di un’associazione, rialza la testa: “Il lavoro è la cosa più bella, non solo dal punto di vista economico”. Un elemento emerso con forza è quello relativo alle relazioni, che offrono una spinta in più per risalire. E poi la passione e la voglia di fare bene, come spiega una maestra di Modica: “Nel percorso lavorativo è capitato di avere mansioni, di essere incaricata di varie cose, ho cercato di non rinunciare quasi a niente, mettendomi in gioco. Anche se non mi ritenevo sempre all’altezza ho sempre provato. Non ho tralasciato”.

Storie che raccontano anche di giovani uomini e donne che decidono di avviare un’attività commerciale per provare a realizzarsi in un settore che possa restituire loro dignità. La storia di B. che a Modica si è inventata un negozio che vende oggetti e vestiti, ma è anche un salotto sempre aperto per chi vuole curiosare o fermarsi a fare quattro chiacchiere.

“Il lavoro – si legge ancora nella sintesi – va così inventato, immaginato e sognato a qualunque età e questo lo dimostra, con la sua storia di imprenditoria, E. che dirige un agriturismo nella zona di Scicli: ma la cosa bella di questa azienda, essendo a conduzione familiare, e quindi la forza dell’azienda è stata avere uno scopo comune tutti, io, mio fratello, mio padre, mia cognata. È stato quello di portare avanti un progetto, quello di specializzarsi sempre di più in questo mondo”. Il lavoro scelto e realizzato con grande passione racconta anche una certa idea del mondo, uno stile o una filosofia di vita che finisce con attribuire all’oggetto che si produce un certo valore aggiunto che ne determina il successo. Tutto questo è chiaro nel racconto di G. patron dell’Argital, azienda di Pozzallo specializzata in cosmesi naturale: “Per noi, anche per quanto riguarda il lavoro, l’ispirarci all’ideale antroposofico, significa quando pensiamo alla natura non considerarla in termini sentimentalistici, ma come fosse qualcosa di vivo… L’idea di gettare dei pesticidi sul campo perché così si può spremere di più quel pezzo di terra, non fa parte della nostra visione, perché non ha senso, sarebbe una contraddizione”. Il lavoro di squadra come ‘conditio sine qua non’ perché un’esperienza possa considerarsi di successo. La ricerca evidenzia, infine, come il “lavoro buono sembra costituirsi a partire dalla credibilità diffusa. È evidente in tutti i racconti l’impegno di coloro che abbiamo ascoltato di costruirsi una buona reputazione e di avviare un percorso virtuoso di ‘carriera morale’, avrebbe detto Goffman”. Lo spiega bene un corniciaio di Modica: “Vedo un futuro, come dire, buono, perché comunque quello che noi abbiamo seminato negli anni è sempre stato apprezzato… fino ad oggi. Chi ci conosce, ci conosce bene, parla sempre in positivo del nostro lavoro e quindi penso comunque un futuro roseo”. Quella pubblicata è una “ricerca-azione che continua”, con l’impegno a “costruire speranza”.

“Quest’anno la Caritas di Noto – spiega il direttore, Maurilio Assenza – a Natale propone la buona notizia che il lavoro buono è possibile. E che va cercato insieme. Natale, infatti, fa rivivere la speranza che il mondo possa rinascere. Ripartendo dallo stupore (che 3000 bambini consegnano a tutti nel presepe della città della Casa don Puglisi) e dalla speranza che ci possano essere cammini che permettono di costruire lavoro, dignità, bellezza, comunità. L’augurio diventa che nella città si risvegli il bene sopito e, come a Betlemme, si rinnovi il grande miracolo di gente che si mette in cammino per adorare un Dio che si fa vicino e avvicinarsi come uomini e donne capaci di scambiarsi doni e cercare insieme pace e giustizia”.

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